Non nascondiamoci dietro un dito.
Le abbiamo usate tutti almeno una volta nella vita, anche se non volete ammetterlo.
Tranne me che l’ho fatto solo per la scienza, per essere qui oggi a scrivere queste mie memorie. 

E da questi miei studi puramente scientifici, ragazzi, ne emerge che a trent’anni cambia anche il modo di vivere l’esperienza App per incontri.
Vuoi il passare degli anni e le vicissitudini che si lasciano alle spalle, vuoi che per più di un anno e mezzo abbiamo avuto una socialità sballata, se non pressoché assente – che per molti è risultata in una certa sindrome della capanna – ma la situazione che ravvedo nella mia modesta esperienza è più o meno la seguente:

A vent’anni è tutto nuovo. Un mondo meraviglioso che ti permette di conoscere persone in tempi record.

Quando si arriva in quel momento della vita in cui “non conosco più nessuno, sto sempre in ufficio, faccio fatica ad organizzare attività con gli amici, sono tutti fidanzati, ognuno ha le ferie in periodi diversi”, per i più audaci Tinder e simili risolvono un problema reale.
Perché sì quando hai vent’anni (o per lo meno quando ce li avevamo noi) le App di incontri sono ancora per “pochi”. Gli altri o vivono l’amore del tutto per tutto o non ne hanno bisogno (i veri audaci sono loro).
L’atmosfera è di scoperta: le giovani marmotte dell’amore.
Perché A vent’anni si è più pronti a mettersi alla prova, dandosi appuntamento con perfetti sconosciuti con cui si è intuita un’affinità da poche foto e una chat, a dignitose avventure da una notte da cogliere al volo, persino a lasciarsi stupire facendo semplicemente amicizia.

Poi arrivano i trent’anni, una pandemia e qualche lunga storia fallita alle spalle, e cambia tutto. 

Escludendo tutti quelli che nell’arco degli ultimi 5 anni sono usciti con le tue amiche – o i tuoi amici? succede anche a voi maschietti? – che hanno conosciuto sulle stesse App a partire da quella data, escludendo quelli dell’approccio coraggioso al primo messaggio, i molto giovani o i fidanzati in cerca di evasione, rimangono loro: i trentenni.

Lo fanno, perché lo devono fare. Perché ogni tanto ci si annoia, ci si senti soli, si ha poco tempo, così è più facile. Ma la sensazione – correggetemi se sbaglio – è quella di tornarci con la copertina, la dentiera e qualche acciacco.

Per lo più pigri, quando ci va bene: lunghe conversazioni di settimane o mesi che finiscono in un nulla di fatto, se non nel disinstallare l’app e perdere i contatti.
Spesso anche pieni di risentimento nei confronti della vita, pure davanti ad un Campari spritz.

È come se ricominciare da capo costi troppa fatica.

Che lavoro fai, che musica ascolti, cosa fai nel tempo libero, un copione già recitato troppe volte.
In fondo, se, come teorizza il filosofo Alain de Botton su Internazionale, “un appuntamento è, in sostanza, un provino. Anche se non lo ammettiamo, vediamo la persona davanti a noi come un potenziale partner di vita. Il problema è trovare il modo di mostrarci sotto la luce migliore”, in effetti, vista così, alla nostra età, potrebbe sembrare al di sopra di ciò che siamo disposti a ricevere e/o avere da un’App.
Perché gettarsi in provini che sappiamo già che nasconderanno prove?
Quanto sarebbe meglio – e lo so, probabilmente poco allettante – incontrarsi e chiedersi subito “su, dai, dimmi che problemi hai”?



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